MALAVITA E QUESTIONE MERIDIONALE

 

A 158 anni compiuti l’Italia palesa una situazione nitida e inquietante per la sua parte meridionale che ricalca i territori dell’ex Regno delle Due Sicilie.

Il massimo intervallo di tempo considerato fornisce attendibilità bastante ai dati e quindi alle conseguenti considerazioni. Esso, infatti, supera volutamente ogni forma di stato e di governo cogliendo il filo che li lega dal 1861 ad oggi. Nessun lettore deve quindi sentirsi adontato per i suoi residui sentimenti di italianità, perché quanto andiamo discutendo presuppone unicamente sentimenti di napolitanità e sicilianità. O, se preferite, di duosicilianità.  Quindi l’analisi e il risultato che ne deriva prescindono assolutamente dalle persone coinvolte essendo imperante un certo sistema “austrofago”, cioè basato sull’annichilimento costante del cosiddetto Meridione con ispirazione e vigilanza massonica internazionale.

Cominciamo dalla malavita che infesta le nostre contrade in maniera asfissiante soprattutto per quel che concerne la rimanente attività produttiva.

E’ ormai notorio che essa si è strutturata a causa dell’unificazione violenta guidata dal Regno di Sardegna su mandato inglese. E’ ovvio che questo clima di illegalità ha urtato la suscettibilità dei benpensanti con immediate reazioni anche parlamentari. Ma è altresì ovvio che i burattinai d’oltralpe potevano solo consentire un attacco mediatico per sopire l’opinione pubblica; potevano anche concedere arresti e processi eclatanti con il chiaro limite di non colpire mai il serpente nella testa. Fior fiore di generali e prefetti sono stati incaricati di mettere in atto la repressione a camorra, mafia, ’ndrangheta ecc. con grande spirito patriottico, mezzi potenti e capacità non ordinarie. Ma la malavita è sopravvissuta crescendo di generazione in generazione.

In tal modo sono arrivati altri “sbirri” di simile qualità che hanno effettuato la loro “crociata” con un solo grave difetto: non essersi chiesto se i loro predecessori fossero tutti inferiori per capacità, dati i risultati. Collegando questo trend per tutto il periodo studiato ne scaturisce un quadro desolante e molto significativo. Le migliori forze anticrimine continuano a dispiegare grandi mezzi e talenti giungendo ineluttabilmente agli stessi risultati deludenti dei predecessori. La malavita cresce comunque anche se disturbata. Quando un generale dei carabinieri si convincerà che prima di lui qualcuno più in gamba di lui ha tentato la sua stessa strada contro il crimine organizzato senza l’esito programmato, si sentirà sconcertato nel suo titanico impegno. Se l’aspetta irreparabilmente il medesimo fallimento è necessario capire il perché. Così si potrebbe scovare il regista occulto con tante logiche deduzioni che scombussolano infinitamente più dell’avvertita incapacità di successo. Forse proprio per tale ragione le cronache non annoverano analoghe riflessioni.

L’inflessibile vigilanza del sistema mediatico e disciplinare non consente praticamente a nessun membro delle forze dell’ordine di effettuare tali ragionamenti. Ma essi sono fondamentali per capire da dove veniamo e dove stiamo andando. Se per insipienza, pusillanimità o convenienza i responsabili tacciono la malavita si svilupperà senza grossi ostacoli alimentandosi opportunamente nello strutturato degrado della società meridionale.  

Per la cosiddetta questione meridionale (anche stavolta l’intervallo di tempo esaminato procura affidabilità a dati e relative stime) fior di scrittori e politici sono stati strumentalizzati sin dal 1861 per confondere le acque ed educare le venture generazioni alla più colossale delle orrende menzogne inventate con la malaunità. Essa consiste nella persuasione collettiva che i mali conseguenti sono soltanto emersi dopo quella sorta di unificazione coatta perché presenti o latenti da secoli nei territori al di sotto del Tronto e del Garigliano. Ciò per un’etnia scevra dai progressi, segnatamente economici, e offuscata da metafisica e narcisismo. Questa la sintetica valutazione di 150 anni di inani tentativi di risollevare la Bassa Italia (come si appellò inizialmente il Mezzogiorno) che,  da un lato esonera l’esecutivo nazionale dalle sue responsabilità, e, dall’altro pone il grosso problema degli svantaggi che ne derivano alla parte moderna e operosa del paese (cavallo di battaglia dei successi leghisti).

La revisione storica in atto ha ormai demolito tali panzane ma a livello elitario e non globale. In altri termini l’establishment preposto all’estrema difesa delle fole risorgimentali non riuscendo a confutare le nuove scoperte di archivio si è arroccato nel non permettere la loro diffusione mediatica e nell’esaltazione dell’autorevolezza dei maggiori personaggi e mass media rimasti obbedienti al conformismo storiografico. Ecco perché la stragrande maggioranza degli odierni meridionali non recepisce questa truffa storica del sofisma risorgimentale che sul sud ha impresso il suo infame marchio di perenne crisi socio-economica.

 

Per i politici di professione c’è un discorso leggermente diverso dai responsabili delle forze dell’ordine. Questi ultimi sono quasi sempre capaci di serbare la buona fede ed hanno il torto solamente di non approfondire il problema; gli altri invece sono quasi sempre selezionati tra quelli altamente fidati per il sistema. Per questa ragione quando salgono a posti di potere politico sono obbligati a rispettare le linee guida che vengono inesorabilmente d’oltralpe. Ad essi è consentito populisticamente solo di applicare la famosa regola giacobina delle belle parole e dei brutti fatti.  La storia italiana è ricca di esempi di personaggi più in buona fede che sono stati esautorati (se non addirittura eliminati)  per voler deviare da questi inflessibili binari.

Ecco perché la questione meridionale si protrae da più di un secolo e mezzo e sfugge ai “provvedimenti” ordinari e straordinari di tutti i ministeri da Cavour e Crispi a Renzi e Conte, senza differenza sostanziale tra forme di governo tanto concettualmente distanti.

Pertanto quale fiducia riporre nel suffragio elettorale, nelle promesse dei partiti nazionali, nella nascita di gruppi politici non legati a questi ultimi ma da incastonare nel sistema Italia? Sono questi i motivi per cui il Mezzogiorno brancola in un labirinto tricolorato da 158 anni dove in ogni direzione presa avverte l’aggravamento della sua famosa “questione”!

La vera sentinella che custodisce la sua intangibilità  è proprio la malavita che ha il doppio e fondamentale compito di ostacolare il decollo economico a sud, tramite una ulteriore e illecita “tassazione” insostenibile dato il peso già terrificante della legale pressione fiscale; ed, inoltre di controllare, che pure le istituzioni locali si adeguino alla politica generale anti-meridionale.

E’ un apparato granitico e costantemente sorvegliato che rappresenta l’unica spiegazione del nostro calvario dal 1861 ad oggi.

La sinergia tra malavita, soltanto solleticata dalle istituzioni, e questione meridionale, tutelata dagli esecutivi,  costituisce l’ottimale andamento dei fatti italiani, assolutamente nefasto per il sud.

I milioni di vittime di questo perverso sistema continuamente lo abbandonano cercando e apportando fortuna oltre quei due fiumi prima citati, senza alcun limite di distanza o speranza di rientro. Quelli che restano sono  ognora tentati di emularli. I meridionali, pur non avendo compreso le ragioni dianzi esaminate, hanno istintivamente deciso che per loro qui non c’è più futuro. Su questa amara considerazione educano i propri figli destinando la nostra terra alla desertificazione delle genti che l’hanno abitata e resa grande per millenni.

Non è questa la sede per invocare intuibili soluzioni.

Piuttosto si vuole ribadire in conclusione che :

  • La malavita non è endemica al sud e non sarà mai vinta dalla sua matrice storica (messaggio per le forze di sicurezza)
  • La questione meridionale è un costante strumento post unitario di colonizzazione degli ex territori duosiciliani (messaggio per i fautori del voto).

 

Vincenzo Gulì