Il federalismo è stato tanto a lungo e profondamente pensato dal potere che non possiamo stupirci del coro pressoché unanime che accoglie il suo completo avvento. Ciononostante, mi sembra doveroso riprendere il discorso sul male ineluttabile che esso ha arrecato ed arrecherà alla società al di sotto del Garigliano.
Incominciamo dall’autonomia che è stata sventolata ad arte nei confronti dei meridionali e che, fino alla nascita della Lega negli anni Ottanta, era una parola “impronunziabile” per i benpensanti delle nostre parti. Allora si tacciavano i leghisti come folli che spudoratamente attaccavano l’unità nazionale. Il meridionale medio si sentiva seraficamente immune da quell’insania antirisorgimentale e si coalizzava per ridimensionare se non annientare il fenomeno secessionista del nord. Come il mercante arabo chiede 100 per ottenere 30, in modo che quest’ottimo prezzo preordinato per lui sembri buono anche per l’ingenuo cliente (che ha ottenuto lo sconto addirittura del 70%!); così la Lega è passata dalla proclamazione dell’indipendenza padana al federalismo per tutti. Come quel cliente gabbato, il meridionale si è sentito felice dello “sconto” ottenuto e, sostenuto pesantemente dai mass media di regime, ha incominciato a scoprire le meraviglie dell’autonomia, frutto del federalismo.
Attualmente, proprio a Sud si magnificano un po’ da tutte le parti gli effetti federalistici, ipotizzando autorevolmente straordinarie capacità di ripresa economica che farebbero decollare il Mezzogiorno, finalmente scevro da assistenza pubblica diretta o indiretta.
La dimostrazione della critica insanabile al federalismo può essere tentata solo gradualmente essendo argomento vasto e complesso.
Una vera autonomia, essenziale per ogni successo in campo economico, presuppone scientificamente l’equilibrio ottimale tra i tre settori produttivi in maniera tale che il sistema non sia facilmente vulnerabile da fattori stranieri spinti dalla difesa dei propri mercati. Qualcosa del genere può ad esempio individuarsi nell’Europa sotto Napoleone dell’Ottocento o sotto Hitler nel Novecento. La reazione dei due dittatori allo strapotere delle potenze capeggiate dall’ Inghilterra (nel secondo caso assieme agli USA), che strozzavano l’economia delle nazioni amministrate, si delineò con una sorta di autarchia sub continentale. Essa non si vuole affatto qui richiamare perché ormai obsoleta e quindi improponibile. Si vuole invece affermare che Parigi o Berlino, per fare in guisa realmente autonoma le scelte economiche, dovevano obbligatoriamente liberarsi dai bastoni tra le ruote che gli anglo-sassoni frapponevano loro continuamente. Se ci riferiamo alla Germania nazista, è ormai assodato che negli anti Trenta stava per proporsi al mondo come la prima superpotenza in campo prettamente economico, dopo aver rotto i gravi legami di sudditanza con le potenze vincitrici della I guerra mondiale ed aver costruito un equilibrio tra i tre settori veramente encomiabile, addirittura inventando succedanei delle materie prime indisponibili, come per il petrolio o il caucciù. Anche l’Italia fascista seguiva questa linea di sviluppo economico, convinta che solo in tal modo ci si poteva assegnare il famoso “posto al sole”.
Vincenzo Gulì