Sovente si discute delle lotte che nei secoli i cristiani hanno dovuto fare per difendere la loro fede dagli assalti continui dei nemici della verità. Una volta questi erano pressoché identificati con alcuni popoli arabi, come i Saraceni, che, anche prima dell’Islam, si davano al costante saccheggio dei paesi mediterranei La vertenza risiede nella liceità di ammazzare altri uomini che con violenza tentano di distruggere la propria fede e le proprie famiglie. Il comandamento di “non uccidere” ha sempre sconcertato chi elabora questi argomenti ma, anche stavolta, è la Chiesa a fare chiarezza. Grandi santi, viventi o apparsi prodigiosamente, hanno infatti partecipato a furiose e decisive battaglie per preservare la civiltà cristiana prima e cattolica dopo. Basti citare ad esempio Marco d’Aviano (Vienna 1682) o Santiago Matamoros (Clavijo 844). Significativo è anche il caso di San Bernardino che a l’Aquila nel 1799 appare per incitare il popolo a cacciare i rivoluzionari francesi. Questo pone l’ateismo giacobino sullo stesso piano degli “infedeli”. Dal XVIII secolo in poi sono soprattutto i falsi cattolici legati alla massoneria a costituire il pericolo maggiore per la civiltà apostolica romana. Anche se quel comandamento resta intatto nel suo profondo messaggio di mansuetudine e di pace, in alcuni tragici eventi storici la legittima difesa è avvenuta, aiutata e separata dal peccato grazie alla Chiesa di Roma. Naturalmente qui ha un ruolo fondamentale la fede nell’opera del vicario di Cristo, unico legame tra il Cielo e la Terra idoneo a indirizzare la mente limitata degli uomini. Chi esalta dei dubbi in proposito ricade in un caos religioso con errori in difetto e in eccesso che allontanano comunque dalla verità. E la storia indica questa sequenza di verità che deve essere analizzata e compresa per non perdere il proprio equilibrio interiore.
Questo preambolo per narrare un episodio ai più sconosciuto accaduto nella Napoli bizantina del VI secolo. Lì c’era un monaco abate Agnello (o anche Aniello) che soleva vivere da penitente in una grotta ed era già tenuto in odore di santità. Nel 574 un’orda famelica di Saraceni sbarcò in città fin dentro le sue mura facendo scempio di cose e abitanti. La difesa affidata ai soldati napolitani comandati da Giacomo della Marra era insufficiente per numero e tutto stava scivolando verso la più completa catastrofe. Accortosi di quanto stava avvenendo, padre Agnello uscì dalla spelonca, alzò una bandiera con il segno della Croce (tanto simile a quella dei Sanfedisti di 12 secoli dopo) e chiamò il popolo alla difesa della fede e di Napoli. L’entusiasmo animò i popolani e rinvigorì i soldati di della Marra e tutti insieme, guidati dal santo monaco, solo a pochi fortunati consentirono la disperata fuga sulle navi che sparirono tosto all’orizzonte. I napoletani portarono in trionfo Agnello e dedicarono la vittoria all’Arcangelo Michele che l’aveva ispirato. Eressero perfino una statua al frate e tanto lo lodavano che l’umiltà lo convinse ad appartarsi in meditazione molto lontano a Monte Sant’Angelo sul Gargano. Sarà santificato alla sua salita al Cielo ed eletto Compatrono della città partenopea.
Questa è storia vera e pertanto maestra affidabile di vita che dovrebbe confortare le pericolose vicissitudini dei giorni nostri senza ascoltare ingannevoli profeti e affidandosi alla Provvidenza che mai ci ha abbandonato.
V.G.