Di fronte all’insostenibilità del passaggio indolore tra stato centralista e decentrato, i politici si comportano variamente, a seconda dell’area di appartenenza ma soprattutto del ruolo interpretato in questo cambiamento storico dello stato italiano. La Lega aspira a fare presto e completamente il federalismo che da essa promana. Gli altri del centro-destra mitigano alquanto l’arroganza anche verbale dei leghisti magnificando le supposte opportunità imprenditoriali della riforma che consentirebbe al Sud di tagliare traguardi insospettabili. Il centro-sinistra, per la sua funzione di opposizione, discute lungamente sulla necessità della solidarietà tra le regioni che dovrebbe permettere di sanare i più che probabili svantaggi delle zone meridionali. Al di là delle tenui sfumature, si nota l’intersezione evidente tra la comune volontà di attuare il federalismo per appagare il potere economico che lo ha propugnato ben prima dei leghisti e l’utilizzo dello strumento da ingigantire della solidarietà per rabbonire qualche voce interna di resistenza.
Ci sono due aspetti da rimarcare chiaramente. Il primo è che fu la Fondazione Agnelli dieci anni prima della Lega a parlare di macroregioni ad amministrazione autarchica evidenziando pertanto la volontà dei potentati economici alla rivoluzione anticentralistica. Vi sono le registrazioni dell’osannato avucat Gianni Agnelli che parlava di necessità per il Mezzogiorno di tornare al livello di vita del primo dopoguerra per la salvaguardia dell’intera (sic!) nazione… Bossi & C. sono stati quindi sono stati soltanto uno strumento applicativo, tutelato e circoscritto per arrivare al federalismo. Il secondo aspetto da sottolineare concerne una delle parole magiche che i neogiacobini adoperano per far smarrire gli ingenui: la solidarietà. Qui non è in discussione la quantità e la qualità dell’intervento correttivo sugli sfaceli federalistici che il Capo dello Stato insistentemente richiama. E’ bastante affermare che ogni provvedimento di solidarietà passerebbe per il potere centrale del nuovo stato riformato, cioè dipendente dalle delibere del medesimo apparato politico che ha massacrato il Sud per 150 anni e che ha decretato il federalismo! Intermini più espliciti, i danni di tale riforma sono gli obiettivi del potere economico per assegnare risorse adeguate al sistema produttivo del nord a scapito delle regioni del sud. Tale esiziale politica per il meridionali rappresenta il leit motiv che, dalla nascita dell’Italia a questa parte, scarica nella parte bassa dello stivale le crisi interne e internazionali per il benessere degli antichi colonialisti risorgimentali.
Di fronte a questo piano, più micidiale dei soldati piemontesi nell’invasione chiamata unità, Il vero problema del Sud è l’assenza o l’acquiescenza della classe politica locale che non lascia sperare assolutamente niente di buono sia a destra, sia a sinistra, sia al centro. Chiunque adesso sta pensando che la soluzione logica sia l’urgenza di costituire una forza politica idonea a rappresentare i meridionali vessati. Ma chiunque dovrebbe riflettere sul fatto che nessun stato consente democraticamente ad una fazione di distruggere la sua linfa vitale. Della Lega abbiamo già detto essere emanazione del potere, non come vogliono farci credere un gruppo popolare riunito per la difesa degli interessi dei padani. Noi non potremo mai diventare una sorta di lega del sud semplicemente perché quella del nord era lo stesso stato italiano in metamorfosi; noi potremmo potenzialmente essere invece la fine dello sfruttamento coloniale, di mezzi e cervelli, che originò l’unificazione italiana. Questo al nord lo sanno molto bene…
V.G.