Ndisastro

 

Andiamo da tempo dicendo che i problemi avuti dalla squadra del Napoli quest’anno dipendono da una serie di fattori ed estendono la responsabilità a tutti i componenti del Calcio Napoli. Nell’auspicio di un domani più consono alle aspettative sacrosante dello sterminato stuolo di tifosi in tutto il mondo bisogna liberarsi di alcuni equivoci capaci di perpetuare la delusione che attualmente ci sgomenta.
Quando la crisi di risultati stava per diventare un vero e proprio disastro generale la società ha cominciato ad attaccare il Palazzo (anche in campo europeo) per passare poi a colpire la rosa dei calciatori. Verso lo staff tecnico si è optato per un ipocrita divorzio consensuale ma è fin troppo evidente che all’opinione pubblica sono state divulgate notizie molto convincenti sull’inettitudine di Benìtez e, alla fine, pure di Bigon.
Per migliorare, quindi appare tautologico avere più peso nel Palazzo, cambiare parecchi giocatori (puntando naturalmente alle plusvalenze e ai contratti con fatture estere…), modificare tutto lo staff tecnico. Se questo messaggio passa in maniera insindacabile ci ritroveremo (come negli ultimi 4 o 5 anni) di nuovo con un pugno di mosche o qualche “coppetta” di consolazione.
Più volte siamo intervenuti sul perché si è rotto l’estate scorsa il giocattolo che Benìtez stava costruendo per vincere e sulla gravissima ripercussione verso quasi tutti i giocatori fino a costringerli ad una sorta di autogestione al minimo indispensabile di impegno. L’evidente rottura tra ADL e Rafa è stato un segnale fortissimo per i calciatori che erano gli unici a poter far pendere la bilancia in una certa direzione se non lasciati liberi di infischiarsene di tutto e di tutti. In tal modo Rafa ha perso e ha proseguito pro forma l’attività sportiva (compreso l’inadeguato mercatino di riparazione) con tutte le nefaste conseguenze che sappiamo.
Benìtez rappresentava il grosso nome per rabbonire la tifoseria perchè la maggioranza sperava che prima o poi la sua fama e il suo stellone facessero il prodigio di allestire una squadra veramente competitiva. In effetti sino al rigore scellerato di Higuaìn domenica scorsa tutto era ancora possibile.
Ora la società (che come già spiegato appartiene praticamente all’Unicredit tramite la Filmauro) è in affannosa ricerca di un altro grosso nome per ripetere il calvario, almeno di quest’ultimo biennio di frustrazioni. Poi avverrà un’altra rottura e un’altra reazione con la squadra, come già si era visto anche con Mazzarri. Se ci fossero molti giocatori napolitani o affezionati a quel che significa la maglia azzurra, si potrebbe evitare un’altra deleteria autogestione. Ma con africani, slavi, iberici, sudamericani e purosangue padani il medesimo sbocco appare ineluttabile.
Qui se non si comprende il giochino del presidente non si concluderà mai nulla di soddisfacente. Tutta la stampa locale dovrebbe far fronte comune su tale tematica smascherando quelli additati oggi come colpevoli che sono solamente vittime del vero responsabile. Il quale, come scrivemmo, non ha certamente la facoltà di fare quello che tutti aspettiamo (cioè una vera grande squadra costosa e competitiva) ma, messo alle strette, potrebbe dialogare con i veri padroni del Napoli e prospettar loro un realistico business plan con ritorni di utili stratosferici a seguito di trionfi sportivi che da noi fruttano in tutti i sensi molto più che altrove.
Vincenzo Gulì