REGGIO 1860
ALLORA VINSERO GLI IMBROGLI, ADESSO VINCONO LE BUGIE
Il prossimo 21 agosto le autorità apporranno una lapide sul castello aragonese che recita:
“Su questo munito e forte castello primo baluardo continentale del Regno delle Due Sicilie Giuseppe Garibaldi i patrioti di Reggio e tre mila camicie rosse dopo una battaglia cruenta e decisiva issarono il tricolore dei mille nel nome della libertà e dell’unita’ d’Italia e di tutti gli italiani”.
Ancora una volta la verità storica verrà bistrattata dai degni discendenti dei vincitori e dei cronisti di allora.
Come si possono ignorare nel XXI secolo fatti incontrovertibili come:
- Il castello era imprendibile ma non capitolò per attacco militare
- Se a Milazzo i seguaci di Garibaldi era diecimila perché se ne contano solo tremila a Reggio?
- I patrioti reggini erano quelli che chiesero invano a Melendez di ricevere le armi per difendere la città e non quei quattro traditori affiliati alla setta che reggeva i fili da lontano
- La battaglia fu la “solita vittoria” ottenuta in schiacciante superiorità numerica (almeno 15 contro 1) e per la pattuita inazione del presidio
- Gli sforzi a perdere di Melendez, Brigante, Ruiz, Gallotti sono talmente evidenti che tolgono ogni barlume di gloria alla conquista di Reggio.
Con quale faccia tosta i benpensanti della città celebreranno quel 21 agosto?
Il Sud attuale da 152 anni è vessato in ogni maniera dalla malaunità che proprio nel primo luogo al di là del Faro ebbe un tassello importante. Con la forza dell’amore per la propria terra e dei progressi della storiografia risorgimentale, fattori assenti in quelli che hanno ideato o apprezzeranno il cippo, lanciamo una proposta che sarà disattesa perché non sopportabile:
INVITIAMO GLI AUTORI DELLA LAPIDE AD UN CONFRONTO APERTO SUL SUO CONTENUTO NEL RISPETTO DELLA VERITA’ STORICA.
Segue la ricostruzione di quel giorno funesto per i calabresi (che mai prima della malaunità erano emigrati…) tratta dal mio libro “Il Saccheggio del Sud”:
<<Il 19 agosto il telegrafo della punta estrema delle regioni continentali del regno segnala l’accostarsi dell’imbarcazione di Garibaldi. Il primo ad essere informato è naturalmente il comandante della flotta a Reggio Salazar che, per tutta risposta, fa trascorrere ad arte l’intera mattinata con espedienti vari, compreso l’ascolto di una lunga messa cantata, prima di salpare. Le navi da guerra, pur avendo concesso il tempo contrattato per il totale sbarco dei rossi, per un ritardo quasi fatale incrociano un battello che ritorna in Sicilia per ricaricare con lo stesso nizzardo a bordo. Al momento di panico della richiesta di riconoscimento, viene issata bandiera degli Stati Uniti d’America ( ulteriore inequivocabile atto di pirateria) che convince Salazar di essersi imbattuto in “evidenti” mercanti americani!……Così il filibustiere prosegue indisturbato verso Messina! Ma la sfortuna perseguita quel giorno il “pio” Salazar perchè, dirigendosi verso la costa calabra, appare nitida e inequivocabile la visione di un’altra nave ancorata con i rossi che sbarcano serenamente. Logicamente il tradimento era facile quando la sua interpretazione immediata era alquanto soggettiva; mentre diventava arduo e pericoloso quando oggettivamente una certa situazione imponeva un rispetto almeno minimo degli ordini. In tal guisa mentre scambiare pirati rossi per commercianti americani era sì strano ma sempre possibile a prima vista, era invece praticamente impossibile non intervenire scorgendo i garibaldeschi scendere sul suolo patrio scaricando quelle munizioni da ficcare nelle carni dei Regi. In conclusione Salazar fa sparare sui rossi, privilegiandoli però prima consistentemente della facoltà di aver portato a terra tutto il necessario. I garibaldeschi si rifugiano tosto sui monti circostanti con scarse riserve e tra l’indifferenza significativa degli indigeni, definiti in tutto il mondo in spasmodica attesa per la sbandierata lotta comune contro il tiranno Borbone. Le cannonate sono state intese da tutte le orecchie funzionanti in un raggio di parecchi chilometri, ma evidentemente non portano a quelle dei comandanti i segnali per reazioni conseguenziali. Tant’è che i soldati si rinchiudono tranquillamente nel castello di Reggio invece di tallonare gli invasori in ambasce e porre termine al crimine internazionale in atto. Qualche ora dopo un arcano visitatore vien fatto entrare nella fortezza e colloquia col comandante Gallotti; effetto di questo ulteriore tradimento è l’ordine impartito ai Regi di non muoversi quando si vede arrivare il nizzardo con le ultime sue forze sbarcate. Peggio si comporta il gen.Brigante che dall’immediata periferia di Reggio sopraggiunge mandando in avanscoperta il col.Dusmet. Costui avvista i primi garibaldeschi e li assale furentemente sino a rimetterci la vita eroicamente. Brigante allora lascia al proprio destino gli uomini del glorioso Dusmet e devia sbalorditivamente verso il castello rinchiudendosi con gli altri. Pur potendo sia offendere con incisività (come dimostrato da Dusmet) che resistere ad oltranza per i completi ed abbondanti rifornimenti della fortezza, l’ineffabile generale fa issare subitaneamente ed ingiustificatamente bandiera di resa per evitare che, tirando qualche colpo, possa attirare qualche altro generoso e leale colonnello dei dintorni e rischiare di compromettere l’incontrastata invasione garibaldese. Proprio mentre da Napoli veniva reiteratamente l’esortazione a cementarsi contro il nemico dopo le brevi sparatorie intercorse (che pur mostravano perdite significative di 147 contro 50 a sfavore degli stranieri), veniva da Brigante calpestato ogni ordine superiore, ogni logica militare, ogni decenza di comportamento con l’assurda resa. Incredibilmente il dispaccio della vile capitolazione parte più presto dei preliminari veri e propri della resa rituale: tanto tutto è preordinato!
Un comportamento ancora più inqualificabile si tiene nella capitale in conseguenza della denunzia di quasi tutto l’equipaggio di un’altra unità marina a Reggio comandata da Guillamat, in relazione al suo tradimento con gli altri capitani, di fronte allo sbarco del nemico. La Corte Marziale scagiona allegramente Guillamat e condanna invece i ricorrenti! In mano a chi era finito il popolo napoletano!
Il duce supremo dell’esercito nelle Calabrie, il gen.Vial, ovviamente è il principale fautore dello schieramento frammentato degli uomini che mantiene con tutta la sua abilità con lo scopo palese di far arretrare i soldati sulla strada di Garibaldi verso nord, dopo aver concordato i dettagli direttamente coi capi rossi. In ciò trova pieno appoggio nei generali Ruiz e Brigante e, con qualche forzatura, da Melendez. Quando le voci dei leali si facevano sentire, rischiando l’insubordinazione, gli animi si riscaldavano parteggiando la massa subito per l’arresto della ritirata non causata dal nemico. Se i comandanti non riuscivano a riportare l’ordine, preferivano dileguarsi vergognosamente lasciando gli uomini allo sbando come a Piale presso Villa San Giovanni. La paura, l’acredine, la disperazione crescono un po’ in tutti i soldati, ripetutamente e dappertutto trattati come bambini deficienti e come cose senza cervello. Nella località di Monteleone di Melito si tocca il massimo dell’intolleranza e i militi in un attimo di comune sentimento di odio e di vendetta sconvolgono lo stato maggiore di Brigante e massacrano il generale senza pietà.>>
Per completezza d’informazione è utile rammentare che a Napoli c’era un governo imposto dai mercenari liberali protetti dalla setta internazionale sotto la guida letale di Salvatore Pianell che naturalmente non mosse dito per cambiare gli avvenimenti reggini.
Giuseppe Salvatore Pianell (o Pianelli come più esattamente si chiamava) fu primo ministro del governo di Napoli nel momento più delicato del Regno delle Due Sicilie. Per rendersi conto compiutamente del losco personaggio, che ebbe parte preponderante nel tradimento e nella caduta della Re e della Patria, basta risalire alla sua carriera prima militare e poi politica. Di famiglia murattiana (quindi imbevuta di idee rivoluzionarie), era diventato ufficiale grazie allo scellerato decreto di Francesco I che, per risparmiare nella spesa pubblica in occasione dell’ingaggio di reggimenti siciliani volontari, aveva messo in vendita il grado di capitano (con diritto di nominare due tenenti e un alfiere) a condizione che fosse armato anche il reparto. Questo è un punto fondamentale per capire gli sviluppi successivi delle vicende del regno. I ricchi aristocratici già accedevano regolarmente alla carriera militare, quindi la nuova normativa non li riguardava. Chi poteva allora investire un bel mucchio di ducati per acquisire il brevetto? Diciamo che da strane organizzazioni internazionali giunsero fondi sufficienti per far entrare nell’esercito duosiciliano personaggi che avranno una parte essenziale nel crollo del regno nel 1860. Basti citare Alessandro Nunziante e Giuseppe Ghio e proprio il Pianell. Troppo semplicisticamente si parla di generali traditori al momento dell’invasione. Le pedine create sotto Francesco I, più realisticamente e deduttivamente, saranno chiamate a svolgere la loro parte a favore del nemico con il nipote Francesco II. Non un mero tradimento ma la chiamata del padrone al momento opportuno… In successive occasioni, come nel 1848, si rimpolperanno similmente le fila di questi ufficiai sleali fino ad arrivare all’invasione di Garibaldi quando da Marsala a Reggio vi sarà un percorso agevolato al massimo per favorire il costante arretramento dei Regi.
A partire da Dumas e Abba, una serie praticamente ininterrotta sino ad oggi di scrittori venduti magnificherà le imprese del nizzardo, rimarcando le sue virtù in contrapposizione ai difetti dell’esercito borbonico. Si inventerà una sequela di falsi luoghi comuni (come l’appoggio consistente dei locali ai garibaldeschi) che una semplice ricerca di archivio, sostenuta dalla logica, vanificherà come nebbia al sole. Ma l’autorevolezza della bugiarda informazione dei vincitori al potere(come genialmente escogitato sin dalla rivoluzione francese) è assai resistente nei confronti della verità dei vinti, ancorché documentata.
Senza questa premessa i fatti di Reggio dell’agosto 1860 non assumono i connotati di veridicità e persuasione.
Come furono preparati i fatti del 21 agosto?
Ben intuendo che il successo in Sicilia avrebbe compromesso anche la sua parte continentale del regno borbonico, come accennato, da Capo Lilibeo alle Calabrie erano stati mandati tutti assieme quegli alti ufficiali doppiogiochisti. Quindi furono preconfezionate le “vittorie” da Marsala a Calatafimi, da Palermo a Milazzo che i mass media esaltavano come prodigi del mercenario in camicia rossa. Le menzogne, pur evidenti come il mito dei Mille, volavano alto sino a influenzare anche la Corte a Napoli, come preparato a tavolino nella parte alta dell’Europa. In ogni scontro tra Regi e invasori si ripeteva un problema: la presenza di ufficiali probi, l’assoluta fedeltà della truppa e l’attaccamento alla corona degli abitanti locali. Esso costituiva l’unico serio ostacolo al piano internazionale contro le Due Sicilie. L’autoritarismo dei generali con più potere, come Lanza a Palermo o Ghio a Milazzo, era riuscito sull’isola a bloccare gli ufficiali veri, come a Calatafimi con Sforza ; i soldati erano stati frastornati (come nella ritirata da Alcamo a Palermo) o zittiti con minacce nell’abbandono della capitale al di qua del Faro; i nativi erano stati abilmente frenati dalla polizia e dalle bande formate dai vassalli dei baroni traditori. Analogamente succede a Reggio: Vial, Ghio, Brigante, Ruiz (spalleggiati a Napoli da Pianell) subornano gli altri ufficiali per non combattere; la truppa è trattenuta a stento e sfocia nell’episodio di Melito; gli abitanti sono irretiti e abbandonati e si negano loro, com’è documentato, le richieste armi per difendere la città.
Dopo 153 anni le autorità italiane esalteranno il ricordo dei traditori e dei falsi eroi di Reggio e lasceranno nell’oblio e nelle menzogne personaggi eccezionali come Antonio Dusmet e il giovane figlio, caduti da coraggiosi e fedeli patrioti delle Due Sicilie contro forze preponderanti degli stranieri invasori.
Vincenzo Gulì
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