Nello splendido e prestigioso palazzo delle aquile di Palermo si è tenuta la prima presentazione del libro di Gianni Maduli “Rinascita di una nazione” avanti a un competente pubblico con gli interventi di Vincenzo Gulì e di Ignazio Coppola. L’impressione realistica è che tra le mura antiche del palazzo pretorio vi sia stata una vera svolta non solo culturale in questo terzo millennio in cui le Due Sicilie affondano le loro radici gloriose.
Per acquisire il libro è possibile rivolgersi al seguente link:
http://www.pittiedizioni.it/index.php/pubblicazioni2/43-narrativa/138-rinascita-di-una-nazione.html
PRESENTAZIONE
Dopo oltre un secolo e mezzo di malaunità italiana, l’attuale Mezzogiorno si trova sul ciglio di un abisso il cui fondo rappresenta per esso la definitiva scomparsa per una svariata serie di fattori.
Tutto cominciò nel 1861 quando gli italiani tosco-padani, spacciandosi per fratelli desiderosi di unirsi a quelli al di sotto del Tronto e del Garigliano, perfezionarono quella conquista barbarica che già avevano tentato in tempi moderni seguendo le armate francesi nel 1799 e nel 1806. Gli abitanti del Regno delle Due Sicilie, una volta caduto lo stato per mano della diplomazia europea filo-massonica, intuirono la gravità pressoché irreversibile della schiavitù in cui stavano sprofondando e si ribellarono in ognuna delle ventidue province citrafaro e ultrafaro. Fu una guerra epica e misconosciuta che impegnò per oltre un decennio quasi la totalità dell’esercito sabaudo largamente rafforzato da mercenari internazionali forniti dalla consorteria facente capo all’Inghilterra intenta ad egemonizzare economicamente il mondo. Nei territori invasi, furono centinaia e centinaia di migliaia le vittime civili senza distinzione di sesso, età, professione, condizioni di salute o ceto. La popolazione fu travolta da un fiume di sangue e di lutti e fu costretta, alla fine, a una sorta di esodo biblico. I nuovi italiani meridionali dovettero, per la prima volta nella loro storia trimillenaria, lasciare la terra natia in cerca di sopravvivenza all’estero. Il piano cinico e spietato dei colonizzatori scesi dal nord fu poi espletato in tutta la sua completezza. Prima drenando la liquidità della popolazione, poi eliminando sistematicamente le loro fonti di produzione economica, infine persuadendoli, specialmente con la pubblica istruzione, che l’unica possibilità offerta dalla nazione tricolore risiedeva nell’accettazione, ex tunc et in perpetuum , di un’ Italia a due velocità, a due tariffe, a due burocrazie, insomma a due volti ed in grado di far proseguire per sempre la famosa questione meridionale creata apposta dall’unificazione della penisola. In questo vero e proprio calvario dei discendenti dei fieri e agiati abitanti delle Due Sicilie si sono succeduti monotonamente regimi monarchici e repubblicani, di destra e di sinistra, cosiddette democrazie e dittature. Si può dire che spesso molto è cambiato sotto i diversi governi in Italia ma assolutamente nulla nel suo Sud. Dove, invece, c’è stata una modifica sostanziale la possiamo constatare nei popoli (un tempo Napolitani e Siciliani) che ancora ci vivono.
Si è creata gradualmente ma nettamente una demarcazione tra le classi sociali rilevanti che è possibile per semplicità schematizzare in due categorie : la prima in ceti medi e borghesi, la seconda in ceti popolari. Il primo gruppo ha un vertice completamente normalizzato al sistema colonizzatore ed agisce secondo le sue direttive. Vi fanno parte politici di professione (molti) e imprenditori (pochi). Gli altri componenti sono talmente tesi a non essere risucchiati dal livello inferiore, da diventare i più accaniti difensori dello status quo ( i più perniciosi sono i tanti insegnanti ancora dediti alla nefasta contaminazione dei giovani). Il secondo gruppo, largamente rappresentato da contadini, operai e non occupati, contiene anche una tipologia quasi del tutto scomparsa nel Terzo Millennio: la plebe. Questo non nel senso moderno degli emarginati che tutte le metropoli esibiscono, ma nel significato di una vera e propria comunità con peculiarità assenti in altri luoghi apparentemente simili. Stiamo parlando soprattutto delle due grandi ex capitali del sud italiano, Napoli e Palermo. Ai giorni d’oggi tutte le antiche capitali sono ritornate tali eccetto queste due che hanno piuttosto allevato, nel degrado doloso dei loro quartieri storici, una popolazione di diseducati alla legalità (con conseguente fioritura di camorristi e mafiosi), evasori scolastici (con tassi di dispersione studentesca inconcepibili nell’odierna Europa), nemici delle istituzioni (con relativo vandalismo di beni pubblici) e degli altri gruppi sociali (quanti che non vi appartengono si sentono tranquilli attraversando Forcella o la Vucciria?). La stragrande maggioranza dei componenti di questo secondo gruppo oscilla tra il mantenere le distanze,detestando la plebe (grazie all’influenza mediatica) e la speranza di salire al livello superiore, quasi precluso ma al cui comportamento si allineano nell’illusione di essere un giorno assunti tra gli eletti. E’ assiomatico rilevare che una modificazione quasi genetica ha portato gli odierni meridionali alla più totale e becera assuefazione ai voleri dei padroni con l’eccezione della plebe delle due metropoli del sud e di coloro che sono riusciti a salvarsi dal lavaggio del cervello dei mass media. Stiamo parlando di una vera parte infinitesima degli abitanti del Mezzogiorno d’Italia. E’ questo il fattore predominante che lo ha posto sullo scrimolo del baratro finale.
Un ulteriore fattore è necessario evidenziare, la globalizzazione. Questa recente trovata del potere pluto-settario che comanda il mondo è stata prevista e realizzata (com’è costume di costoro) indorandola con il progresso inarrestabile che intenderebbe favorire tutta l’umanità. Per quanto ci riguarda, i suoi effetti letali si possono notare nell’ultima (non certo in ordine cronologico…) spoliazione della capacità produttiva meridionale con arance che vengono dall’Africa e fanno marcire quelle siciliane sugli alberi, con abiti che vengono dalla Cina causando la chiusura delle tante manifatture vesuviane, con sirene che irretiscono giovani laureati dal sud italiano spingendoli ad accettare compensi ridicoli nelle parti più impensabili della terra. Solo per inciso, è bene precisare che è completamente da ricusare il dogma che ci vogliono imporre sull’ineluttabilità della globalizzazione. Una volta si parlò di un’altra inesorabilità, quella dell’unificazione italiana con tutte le conseguenze che sappiamo. Non può essere mai ineludibile ciò che in mala fede viene programmato, concretizzato e reclamizzato con la corruzione e la forza.
Il tragitto storico della decadenza dei territori di quelle che furono le Due Sicilie è percorso fedelmente, dettagliatamente e appassionatamente da questo libro che espone l’invidiabile passato e tutta la sua involuzione nello squallido presente. Probabilmente il suo pregio maggiore è lo svincolare la dialettica discorsiva utilizzata dai luoghi comuni, per lo più falsi e tendenziosi, che coattivamente i mass media hanno inculcato più fortemente quanto più si alza il livello di studi. Ma ogni cosa è documentata e meditata al massimo in maniera che si può affermare che questa voce fuori dal coro non scaturisce dall’allarmismo o da una sorta di anarchia generalizzata. Essa sgorga possente e inarrestabile dalla stratificazione culturale che tremila anni di storia hanno consentito di esternare ai discendenti di napolitani e siciliani, se sono in grado di liberarsi dalla cappa di menzogne con cui l’informazione costantemente li bombarda. Del resto, basta riflettere sulla proprietà dei mezzi d’informazione e sulle conquiste in tal senso della Rivoluzione (quella per antonomasia francese da cui viene il mondo contemporaneo) per rendersi sufficientemente conto della situazione. Come l’Autore chiaramente fa capire, è dal sistema dei valori delle Due Sicilie che è d’uopo ripartire per il nostro riscatto. Naturalmente servatis servandis et mutatis mutandis.
Come il glorioso Regno delle Due Sicilie dimostrò alla metà dell’Ottocento, era possibile un altro modello di sviluppo economico e sociale in antitesi a quello capitalista anglo-sassone basato sullo sfruttamento dell’uomo e della natura. L’unica nazione capace di far concorrenza alla grande Inghilterra era proprio quel regno nella parte meridionale della penisola italica. Ciò smentisce una volta per tutte la solita ineluttabilità (tra i nuovi dogmi del pensiero rivoluzionario a imitazione del suo grande e dichiarato nemico, il Cattolicesimo) di fare economia sulle direttive massoniche in senso capitalistico o, solo formalmente in modo diverso, in senso altrove sperimentato come quello comunistico.
A patto di essere scevri dalle bugie mediatiche, si intravede finalmente all’orizzonte il nuovo, già provato nelle nostre terre. Quell’abisso può essere evitato con la riscoperta delle proprie radici artatamente celate e deformate dai vincitori.
Ma come potranno liberarsi quelle categorie di meridionali innanzi citate? Il primo gruppo è scolasticamente modificato ed è stato quindi addestrato anche a respingere ogni approfondimento sulla realtà taciuta o distorta sul nostro trascorso storico. Quelli che avvertono qualche fremito nel sangue dei loro avi, lo reprimono volentieri nella tutela pervicace dei loro privilegi tricolorati. Nel secondo gruppo vige la confusione totale: da una parte, a causa degli stenti della vita reale, oggi in aumento esponenziale, con anelito a migliorare senza purtroppo un modello culturale idoneo a prospettare, e soprattutto accogliere, qualcosa di radicalmente differente; dall’altra, a motivo della rabbia verso una nazione matrigna che svela ogni giorno di più il suo volto oppressivo e crudele e che perde progressivamente e irrevocabilmente la fiducia dei cittadini. Sono come il famoso asino di Buridano rischiando l’annientamento per esitazione oltre i limiti dell’accettabilità. Ma in questo insieme sociale vi sono i forti e la plebe. I primi in maniera consapevole, i secondi inconsciamente presentano tutte le caratteristiche atte a cambiare le cose; entrambi sono indomiti, chi per scelta chi per vocazione. I mezzi dei primi sono però limitati e quelli dei secondi mediamente esigui. Da dove verranno le risorse necessarie per la nostra liberazione?
C’è un’altra Sicilia, assolutamente inesistente al tempo dell’indipendenza, che si è stratificata in oltre un secolo di emigrazione selvaggia, disperata, costante e gradualmente rivolta verso gli angoli più sconosciuti del pianeta. Napolitani e Siciliani sono oggi dappertutto anche se le comunità più consistenti vivono nelle Americhe. Ciò a seguito del primo grande flusso emigratorio a cavallo tra Ottocento e Novecento che dimezzò la popolazione nella conquistata Italia Meridionale e che condusse forzatamente oltre Atlantico la parte più dura dello zoccolo sociale dell’ex regno borbonico in preda alle infinite e feroci angherie sabaude. Negli USA e nell’America Latina non solo vive la gran parte dei discendenti di quegli emarginati dalla società voluta dai Savoia, ma è anche il raggruppamento mediamente più facoltoso (specie nell’America del Nord). Ci sono dunque i numeri e le risorse; manca però completamente l’informazione.
La memoria collettiva dei meridionali in Italia sul loro augusto passato è stata accuratamente abrasa dalla scuola e dalla persecuzione inflessibile nelle altre forme tradizionali di puericultura in senso lato, come la famiglia o altri corpi sociali intermedi. In altri termini, quello che gli insegnanti governativi, unici ammessi, omettevano sulla verità storica non aveva serie possibilità di essere attinto da chi sapeva, immediatamente considerato sicofante e irreversibilmente sanzionato. Si arrivò all’assurdo che nemmeno nel chiuso del desco familiare era possibile parlare delle glorie trascorse giacché una sola parola trapelata era bastante per una repressione sproporzionata che man mano nessuno volle più rischiare. Se si trattava di un impiegato pubblico perdeva ipso facto il posto, se lavorava in proprio veniva isolato fino al fallimento dal terrore del prossimo che si tutelava. Interi faldoni di archivio sono pieni di processi in tal senso. Quel che avveniva in Italia era sostanzialmente riprodotto all’estero mediante apposite associazioni di emigranti gestite sapientemente dal potere massonico. Ecco come si spiega la sparizione della memoria di un popolo dopo poche generazioni.
In conclusione questa terza Sicilia è dipendente dall’ignoranza delle ragioni che l’hanno fatta nascere. Basti pensare al tricolore che questi nostri fratelli lontani ancora ostentano quando dovrebbero considerarlo l’oggetto portatore di tutti i mali che costrinsero i propri antenati a lasciare l’amatissima terra natia.
Molti popoli hanno recentemente perseguito e raggiunto l’indipendenza spesso dopo parecchi secoli di schiavitù come gli Irlandesi che proprio dai fratelli oltre oceano ricevettero gli aiuti decisivi. Molti moderni meridionalisti (accezione da archiviare al più presto per i danni che essi hanno inflitto nelle loro vane battaglie per il Sud) guardano proprio agli Irlandesi di ieri, o ai Croati di oggi e magari ai Catalani di domani per sperare in un futuro migliore. Se non si riscontrano e meditano le differenze con costoro, non vi sarà mai l’agognato riscatto. Tanti popoli oppressi sembrano affini agli odierni eredi dei duosiciliani ma la loro redenzione, avvenuta o prossima, non potrà arrecare conseguenze gravi al potere che governa segretamente il mondo. Si vuol dire che mentre tante nazioni hanno subito invasioni e saccheggi nella storia, solo le Due Sicilie sono state cancellate per motivi molto più importanti, che questo libro elenca fino a togliere il respiro al lettore. Qui, si ripete, si era realizzato un modello di sviluppo economico-sociale antitetico a quello che la massoneria ha imposto al mondo globalizzato nella quasi sua totalità ed ha intenzione, con l’ordine nuovo finale, di tagliare il funesto traguardo togliendo quel “quasi”. Avere, ad esempio, una libera Irlanda con banche centrali guidate dall’esterno, con ventate di globalizzazione che modificano il tessuto produttivo a vantaggio di pochi, con la possibilità di scaricare crisi spaventose al momento propizio, non è certamente un problema consistente per la setta plutocratica mondiale; così come consentire agli Islandesi di liberarsi dal debito con le banche straniere, quando tutti assieme ammontano agli abitanti del quartiere Vomero a Napoli. Capire la vera essenza della sovranità monetaria, aprirsi al mercato estero dopo aver badato a quello nazionale, avere il potere decisionale di controbattere localmente i cicli economico-finanziari internazionali costituirebbe invece un problema inquietante, non fosse altro che per il messaggio fortissimo lanciato agli altri popoli. Un problema idoneo a intaccare il potere che nella storia contemporanea ha egemonizzato il pianeta e che è anche il mezzo attraverso il quale esso potrà salvarsi dalla distruzione fisica e morale in atto.
Da questo scritto sembra venire un progetto per la salvezza dell’attuale Mezzogiorno d’Italia, ma surrettiziamente ci si rivolge all’intera umanità che corre verso il precipizio pungolata da falsi miti e concreti aguzzini. Trovare consensi sul territorio è solo il primo passo perché quella globalizzazione, inventata per colonizzare il pianeta intero, è essenzialmente economica e giova quindi alla setta internazionale. C’è un’altra globalizzazione fondata su quanto accuratamente evitato sinora. Più che normalizzare tutti secondo il proprio modello economico-sociale, è doveroso unire quanto di comune hanno i vari popoli e svilupparlo nel rispetto delle loro peculiarità. E’ quello che fecero le Due Sicilie alla metà dell’Ottocento ed è quello che è ancora alla portata di ogni singola nazione nel XXI secolo. Questo non è utopia ma l’estrema opportunità reale di non finire in una massa indistinta, disperata e cieca che pochi manovrano vivendo in un Eden artificiale con divieto di accesso a tutti gli altri. Essendo questo il Nuovo Ordine Mondiale che vogliono imporre come ultimo dogma massonico, esiste e dobbiamo combattere per realizzarne un altro basato sui popoli e non sulla deificata ricchezza, perché i primi sono espressioni naturali mentre la seconda è solo un letale espediente per annientarli.
Vincenzo Gulì
Servizio TVM di Palermo sulla presentazione del libro di G. Maduli:
http://www.tvmpalermo.it/
RECENSIONI
Giovanni Madùli e la Rinascita del Sud
Giovanni Madùli, docente e studioso appassionato dei problemi e dell’identità del Sud e della Sicilia, con il suo denso volume Rinascita di una Nazione (Pitti edizioni, Palermo 2014) si misura con due coordinate fondamentali che si intersecano necessariamente: la storia e le prospettive di rinascenza del Sud, di quella cioè che l’A. chiama”Nazione”.
Essenzialità e argomentazioni serie sorreggono il volume che rivendica nelle sue idee di fondo una specificità identitaria, sociale e geografica, all’Isola e al Meridione intero. La storia del Sud, dice Giovanni Madùli, ha una sua profonda unità spirituale e culturale data da un’eredità propria che affonda nel Regnum Siciliae.
Non manca l’A. di soffermarsi su fatti e personaggi dalla Magna Grecia ai Romani, da Ruggiero II ai Borbone Due Sicilie, che a tale processo diedero certamente un sigillo, oltre certi stereotipi storiografici che ci raccontano monotonamente solo di tristi dominazioni straniere.
Se si affronta il tema della civiltà di un popolo ben altre sono le coordinate rispetto a quelle consuete adoperate dagli storici intrisi di ideologismo: spirituali e religiose, tradizionali e di costume, della laboriosità e della cultura, del paesaggio e della bellezza. Tutti elementi che ben si contemplano scorrendo il libro di Madùli che, ulteriormente, pone attenzione e molto giustamente al Diritto Romano come fonte di equità. Obiettivo dichiarato e raggiunto dal Madùli è pervenire alla evidenziazione “dei caratteri significativi, distintivi e specifici, utili alla identificazione ed alla individuazione di quegli elementi comuni e di quei valori fondanti, che costituiscono denominatore comune”.
Senza revanscismo e tendenze bassamente reazionarie, Giovanni Madùli trova la chiave umanistica del futuro del Sud nella “riscoperta, rivalutazione e coraggiosa riaffermazione del nostro passato e delle nostre radici”.
La seconda parte del volume, scritto con esemplare chiarezza e in nitido stile, passa in rassegna le cause della decadenza a cominciare dalla c.d. “mala unità”. Analizza così i fattori economici ed espansionistici risoltisi in una sorta di colonialismo di sfruttamento puntellato da trame di forze occulte abbattutesi nell’antico Regnum, riprendendo tesi care a Nicola Zitara e a Vincenzo Gulì (quest’ultimo prefatore del volume, insieme all’altro introduttore, l’ottimo Ignazio Coppola), non mancando di effettuare proprie, interessanti ed ulteriori ricognizioni. Alla diagnosi Madùli fa seguire una prognosi, che si spinge sino ad una sorta di dichiarazione delle ragioni della separatezza della Sicilia e del Napoletano, più identitaria che politica forse, atteso che l’Autore rivendica le ragioni – ad esempio- dello Statuto Siciliano e della necessità di ripristinare l’Alta Corte per la Sicilia. Statuto, non dimentichiamolo, firmato da Umberto II come uno degli ultimi atti del suo breve Regno (personalmente ho sempre trovato uno stretto destino che ha accomunato sia l’ultimo Borbone, Francesco II, sia l’ultimo Savoia, anche nell’esemplare esilio che accompagnò entrambi, molto credenti e praticanti tutti e due, e ricordiamo che Francesco era figlio di Maria Cristina nata Savoia e poi Regina delle Due Sicilie, proclamata ora Beata, esattamente un anno fa).
Se molto convincenti sono le tesi ribadite da Madùli sull’abbandono dell’Euro e sulla rinegoziazione dei Trattati e degli Accordi Europei, nonché sul Fiscal Compact, più problematiche ci appaiono le forme istituzionali proposte. Tuttavia il libro afferma molte altre linee politiche assolutamente condivisibili anche per chi indipendentista non è: la tutela e il sostegno concreto alla famiglia oggi assai minacciati, la difesa dello Stato sociale, la non abdicazione dei servizi e dei valori pubblici, il sostegno alla ricerca e alla cultura, il divieto all’utilizzo degli OGM, la salvaguardia del territorio senza però mummificarlo e isterilirlo, la riconquista della sovranità popolare e monetaria. Sono tutti presupposti che si spera possano contrastare i “Signori della globalizzazione”, come li definisce l’Autore, senza Patria e senza radici.
Concludendo, il Saggio di Madùli è un utile e generoso apporto per una reimpostazione di vicende storiche, di problemi e prospettive per il Sud, anche per chi non condivida in toto tutti gli assunti e proposte operative, anche tenendo conto che nell’agenda dei Governi centrali, continua a persistere il disconoscimento della Questione Meridionale. E allora, libri stimolanti come questo di Madùli non poco servono al dibattito e all’approfondimento, evitando al contempo di ricorrere a miti incapacitanti e alla “nostalgia del bel tempo andato”.