L’11 maggio 1860 comincia l’invasione del Regno delle Due Sicilie con un’operazione narrata per 150 anni con una sfilza di bugie clamorose che il comune buon senso sarebbe sufficiente a demolire totalmente. Come si fa a bersi la fola di due bastimenti scalcagnati “rubati” sotto il naso della polizia sabauda, riempiti con poco più di mille volontari senza esperienza bellica e armati alla men peggio che sfidano la I flotta del mediterraneo e tentano di portare la rivoluzione nello stato borbonico dove, poco tempo addietro, un certo Pisacane ci aveva rimesso logicamente le penne?
Se si ragiona solo un po’ e collegando la presenza di Garibaldi, la flotta inglese e piemontese di scorta e l’inazione della marina borbonica, si può tracciare un quadro più accettabile di quanto accaduto. Garibaldi, ben sapendo di Pisacane, era partito naturalmente con altre garanzie fornite evidentemente da chi lo accompagnava con navi da guerra. Ma se i sabaudi lo aiutavano, crolla la favola della presa delle imbarcazioni a Quarto e diventa attendibile la “disattenzione” della polizia locale. Inoltre con appoggi di quel genere come non armare fino ai denti gli assalitori (episodio di Talamone) e come limitarsi a quelli normalmente assoldati dalla rivoluzione internazionale? Sulle navi sarde e albioniche dovevano esserci molti altri uomini veterani e in assetto di combattimento, altrimenti come spiegare l’ingrossamento della forza di sbarco nei giorni successivi quando l’apporto dei “picciotti” più che essere esiguo era assai poco affidabile? Documenti consultati individuano già nel porto di Marsala militari in divisa blu (non rossa!) che scendono dalle scialuppe, cioè soldati di Vittorio Emanuele! Altri documenti mostrano “garibaldini” con abiti indiani, cioè come le truppe coloniali inglesi…
Il traditore, comandante in capo a Palermo, Ferdinando Lanza sposta tempestivamente il col. Francesco Donati dalla zona dello sbarco con il suo battaglione di carabinieri borbonici ad Agrigento(sic!) in modo che gli invasori non trovino ostacoli militari terrestri. Sempre preventivamente le cosche mafiose, umiliate e indebolite dal buon governo borbonico, sono state assoldate per terrorizzare la gente e spianare la strada allo straniero. Quando tacciono gli inutili spari dei cannoni borbonici, un silenzio avvolge la città deserta che si apre davanti ai filibustieri di Garibaldi. Sulle porte sprangate delle case dei marsalesi spicca la scritta “proprietà inglese” in modo che siano almeno risparmiate dal sacco che la credenza popolare attribuisce alle scorrerie barbaresche. Questo è l’ <<eroico>> sbarco dei “Mille” a Marsala. Non c’è quindi né da festeggiare gesta ardimentose (poiché tutto era accuratamente stato preparato per eliminare i rischi), né, tanto meno, celebrare avvenimenti storici (dato l’inizio della fine del Regno delle Due Sicilie e dell’indipendenza dei suoi abitanti e dei discendenti). Chi vuole invece osannare lo sbarco dei “Mille” o dice sesquipedali bugie sul loro valore oppure intende commemorare la morte del Sud per far rivivere il Nord in antica crisi socio-economica. In entrambi i casi, i Meridionali non devono partecipare in alcun modo ma cercare di far sapere la verità ai tanti loro fratelli ignari.
Il Sanfedista